Introduzione
Le persone con disabilità, in particolare coloro che vivono la condizione di paraplegia, potrebbero incontrare numerose difficoltà a costruire ed a vivere completamente una vita di relazione, che passa innanzi tutto dalla possibilità di piena partecipazione sociale.
Troppo spesso, infatti, l’orizzonte e lo spazio vitale si restringe a quello della casa, del centro di riabilitazione, di un ospedale.
Non si riesce a fare conoscenza, ed il non potersi conoscere reciprocamente alimenta luoghi comuni, paure, pregiudizi, stereotipi, isolamento. Ci si sente irrimediabilmente diversi e di “minor valore” e questo favorisce la creazione e la crescita di un sentimento di inadeguatezza, frutto di un processo si svalutazione.
Questo sentimento, che porta a sentirsi una “piccola cosa”, molto spesso investe anche la sfera della sessualità, inevitabilmente intrecciata a quella dell’affettività, intesa come amore prima di tutto per se stessi e poi per un’altra persona.
Una dimensione affettivo-sessuale che non si riesce ad esprimere, o quantomeno non ha modo di farlo pienamente, perché non si viene percepiti, ed a volte si può finire per non percepirsi, come esseri “sessuati” come corpi e menti desiderabili, oggetti di desiderio e fonte e destinatari di piacere.
Un sentimento di inadeguatezza che, quindi, si potrebbe trasformare in un’accettazione di se scarsa o nulla, e portare ad un rifiuto, ad un rapporto di odio verso il proprio corpo, percepito come un peso, un fardello inutile, deforme e non armonioso.
Le difficoltà incontrate dalle persone con disabilità, ed in particolare da soggetti con lesione midollare nell’ambito dello sviluppo affettivo-sessuale spesso non sono riconducibili, o per meglio dire non solo, ed in maniera prevalente, all’ambito individuale, quanto piuttosto ad un ambito sociale che non risponde in maniera adeguata alle richieste di partecipazione sociale della persona con disabilità e nei fatti crea le condizioni di un crescente isolamento sociale e di stigmatizzazione, cioè di “marchiatura negativa”, alimentando quello che è definibile come un processo di “disabilitazione”.
Nonostante la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità recepisca l’idea che sia la società ad essere artefice di un processo di esclusione o di inclusione della persona, con le sue specifiche caratteristiche esistenziali, nella testa delle persone sembra essere dominante il modello medicalizzato, cioè l’idea che la persona con disabilità lo sia solo in virtù di un danno biologico e delle conseguenze psicologiche che ne conseguono, che la rendono incapace di essere e fare quello che la società si aspetterebbe da lei.
Viene così “scaricata” sull’individuo una responsabilità soprattutto collettiva, legata al contesto di appartenenza, come ribadito dal modello sociale della disabilità: è la società, infatti, attraverso la mancata rimozione di “barriere” fisiche e culturali e la mancata creazione di adeguati strumenti che permettano la realizzazione di un processo di reale inclusione ad ostacolare l’individuo che voglia condurre la sua vita in pienezza.
E’ la società a non pensare possibile, almeno non fino in fondo, la partecipazione sociale delle persone con disabilità e la loro legittima ricerca del proprio benessere, attraverso un processo di progettazione e riprogettazione dell’esistenza.
In questo modo il processo di disabilitazione trasforma l’esistenza, in particolar modo il tempo libero in “tempo vuoto”, privo di occasioni relazionali e di partecipazione sociale.
Questa visione generalizzata dell’individuo con disabilità come “perdente”, poco capace, una sorta di peso, poco o per nulla desiderabile, perché privo di un corpo sexy, ben controllato ed armonioso, nonché prestante, crea un circolo vizioso di mancata accettazione sociale, cui fa da riscontro, spesso, una mancata accettazione di se stesso da parte dell’individuo.
Ciò che l’individuo crede vero, l’immagine che ha di se stesso, le convinzioni che interiorizza, che fa proprie, sul fatto di valere meno, finiscono per generare effetti “ferocemente” reali.
Lo sportello virtuale
La creazione di questo sportello virtuale è solo il primo step di un più ampio progetto di ascolto operante sugli snodi nevralgici dello sviluppo affettivo-sessuale e relazionale delle persone con disabilità fisica, intellettiva, psichica o sensoriale.
Team multidisciplinare di esperti
Questo servizio di consulenza online gratuito in materia affettivo-sessuale e relazionale denominato “Le porte rosse”, si propone come punto di riferimento per persone con disabilità che vogliono rivolgersi, per esigenza o curiosità e in forma assolutamente anonima, ad un team multidisciplinare di esperti per sottoporre loro problemi inerenti le difficoltà incontrate nella costruzione di uno spazio simbolico-relazionale e problemi relativi al loro sviluppo sessuale.
Consulenza alla pari
Per coloro che, oltre alla risposta del team di esperti, volessero avere un confronto con un “consulente alla pari“, ovvero un’altra persona con disabilità che, avendo già affrontato le stesse problematiche durante il proprio percorso di vita, può consigliare, supportare o indirizzare al meglio, è presente un servizio di auto aiuto formato da un gruppo di disabili. Il gruppo risponderà per iscritto alle domande poste dall’utente affrontando la questione non da un punto di vista accademico ma basandosi sulla propria esperienza personale o sulla conoscenza del problema derivata dal confronto con altri soggetti con problematiche similari.
Per maggiori informazioni sullo sportello virtuale e sulle modalità di partecipazione al progetto, visita la pagina sportello.
Il convegno
L’iniziativa verrà presentata nel corso di un convegno, in cui si proporrà un dibattito ed un confronto tra la cittadinanza, con disabilità o meno, ed alcuni esperti, su diversi temi trattati dal progetto e sui numerosi nervi “scoperti” che ancora esistono riguardo al tema della sessualità delle persone con disabilità.
A tale convegno ci si propone di invitare sia rappresentanti del mondo associativo sia di quello istituzionale.
Questo con l’intento non solo di proporre un confronto ed uno scambio di prospettive ad ampio spettro, ma anche di presentare quella che sarà la seconda fase del progetto, ovvero l’offerta di un accesso gratuito al servizio di ascolto ad una platea più ampia di utenti. Un confronto necessario quello con l’universo delle istituzioni, perché nessun servizio può essere mai davvero valido se resta “isolato”, senza confrontarsi con politiche sociali di integrazione ed inclusione più ampie.